«Non cedete ora» – Lettera aperta della GFE al Parlamento Europeo

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Gentile Presidente,
Gentili Vicepresidenti,
Gentili Onorevoli, 
 
Stiamo assistendo ad un momento drammatico nella storia dell’Unione, il numero dei contagiati da Covid-19 è pericolosamente risalito e l’intera Europa è costretta di nuovo a fare i conti con una pandemia che è tutt’altro che superata. Nell’emergenza si rivela la capacità di resilienza delle diverse istituzioni che compongono l’architettura europea. I primi a rispondere, pur con risorse e strumenti limitati, sono stati la Banca Centrale Europea, la Commissione e il Parlamento. Il Consiglio è da due anni che non riesce a decidere sul bilancio pluriennale post Brexit e anche nella gestione delle attuali crisi sta dimostrando tutti i suoi limiti nella capacità di rispondere rapidamente alle contingenze politiche. Lo abbiamo già visto in passato per la crisi economica o per la politica migratoria. In merito a quest’ultima il Parlamento aveva approvato nel 2017 una riforma degli accordi di Dublino, ma il Consiglio ancora oggi non riesce a trovare un accordo su una proposta più debole. Questa istituzione intergovernativa non è trasparente e non è democratica. Per fare chiarezza, ogni sistema che prevede il diritto di veto e, conseguentemente di ricatto, non può definirsi completamente democratico. Si tratta di una passerella in cui i capi di Stato strizzano l’occhio ai propri media e ai propri elettori, portando a casa il loro minuscolo interesse nazionale mentre a farne le spese sono l’interesse comune europeo, i cittadini europei. 

Nel corso della storia del processo di integrazione il Consiglio è sempre stato il peggior elemento di reazione, visto che è il 40° anniversario del Club del Coccodrillo, basti pensare a come è stato sconvolto il progetto Spinelli (la famosa “montagna che ha partorito il topolino”). Anche in questi giorni si conferma questa tendenza. Un esempio è il caso della Legge sul clima approvata dalla camera di rappresentanza dei cittadini, con cui si propone di ridurre le emissioni di gas serra del 60% entro il 2030. Il Consiglio non è in grado di trovare un accordo e ha addirittura eliminato il punto dall’agenda.

La notizia di ieri è che a margine del Consiglio europeo alcuni capi di Stato accusano il Presidente Sassoli di bloccare l’accordo sul bilancio e su Next Generation Eu mentre in realtà rappresenta un Parlamento che cerca di salvare gli interessi degli europei mettendo un limite agli innumerevoli tentativi di compromesso al ribasso imposti dal Consiglio. L’Olanda con i paesi cosiddetti “frugali” sono settimane che minaccia il veto sul recovery plan per difendere l’aumento degli sconti (“rebates”) ai contributi sul bilancio già ottenuti nell’accordo di questa estate; mentre Ungheria e Polonia continuano a non voler accettare che l’erogazione dei fondi europei sia corrisposta da un rispetto dello stato di diritto. Il premier sloveno è arrivato a sostenere che il Parlamento non è legittimato a chiedere di aumentare il bilancio pluriennale dell’Ue. 
A questo punto l’aberrante miopia politica con cui i singoli capi di Stato attaccano il Parlamento europeo è sotto gli occhi di tutti.

Il Parlamento infatti ha il dovere e il diritto di esprimersi sul bilancio e di farlo nell’interesse dei cittadini europei senza piegarsi ai biechi egoismi nazionali. Sta svolgendo una battaglia per garantire i programmi europei che sono stati depennati dagli Stati: Erasmus, Horizon, Eu4Health, sacrificati dai governi europei per aumentare i rebates (sconti sui contributi al bilancio Ue). Sono 39 miliardi che su un piano di 1800 sarebbero una modifica minima che farebbe un’enorme differenza nelle politiche comuni per i cittadini. 

Altro punto su cui il Parlamento è impegnato e non vuole fare passi indietro è la concretizzazione di un calendario preciso per l’introduzione delle nuove risorse proprie (le tasse su plastica, digitale, carbone, grandi imprese, transazioni finanziarie). Questo perché ritrovarsi tra qualche anno senza entrate indipendenti dai singoli bilanci nazionali porterebbe a far gravare il peso degli investimenti del recovery plan direttamente sui cittadini europei.

Infine, il Parlamento si batte per un’Europa in cui siano rispettati i diritti delle persone, di conseguenza si sta impegnando per far sì che i finanziamenti europei siano vincolati al rispetto della democrazia e dello stato di diritto. Stare al fianco del Parlamento Europeo, in questa battaglia, significa stare al fianco di tutti i cittadini dell’Unione.

Dunque, caro Presidente Sassoli, cari Vicepresidenti e cari Onorevoli tutti, vi invitiamo a non cedere perché è in questa fase e in questa battaglia che il Parlamento che rappresentate ha la forza di imporsi. Fare un passo indietro adesso vorrebbe dire accettare un’ulteriore deriva intergovernativa dell’Unione europea. Resistere sarebbe invece il miglior modo per dimostrare ai cittadini che hanno ragione a credere ancora nel progetto europeo.
 

 

Roma, 16 ottobre 2020

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