Soltanto due settimane dopo la campagna lanciata dalla JEF Europe “Democracy under Pressure” si è arrivati a quello che tutti temevamo maggiormente. Il 30 marzo passerà alla storia come un giorno tragico per la democrazia ungherese, quello dove il primo ministro ha assunto i “pieni poteri”, senza limiti di tempo.
Ora è compito dell’Unione Europea farsi avanti e chiedere con fermezza che i suoi valori fondanti vengano rispettati. Per anni abbiamo sottolineato i rischi per lo stato di diritto in Ungheria e in Polonia. Quando finalmente sono stati messi al centro gli interessi europei, abbiamo cominciato a vedere che forse qualcosa si stava muovendo e la Commissione, insieme con il Parlamento, ha avviato le procedure necessarie. Ora sta agli stati membri agire concretamente nella sede del Consiglio Europeo, come sta alle famiglie partitiche riflettere sulle condizioni imprescindibili per poterne far parte.
«Libertà e democrazia sono infatti fondamenti essenziali dell’integrazione europea – spiega Antonio Argenziano, segretario generale della Gioventù Federalista Europea – Non difenderli con forza vuol dire rinnegare tutti coloro che si sono battuti per un’Europa di pace, libera e unita, e tradire le nuove generazioni che rischiano di veder naufragare i principi democratici»
«Serve allora il coraggio di forzare gli stalli istituzionali ed agire, a qualsiasi costo – continua Argenziano – in ballo ci sono infatti la credibilità e la sopravvivenza stessa del progetto europeo»
Nonostante la nostra organizzazione sia apartitica, quando i valori alla base della nostra militanza vengono minacciati dalle azioni di alcuni partiti politici è giunto il momento di fare sentire la nostra voce. Per questo, invitiamo il Presidente Tusk a chiedere ai membri del Partito Popolare Europeo di riconsiderare la posizione di Fidesz all’interno della famiglia dei cristiano-democratici. Gli eventi recenti ci confermano che i princìpi seguiti dal primo ministro Orbán ed il suo partito sono incompatibili con il gruppo parlamentare in cui si trovano. Questa volta il PPE deve rimanere fedele ai suoi valori, iniziando dall’espulsione di Fidesz.
Anche se la legge che attribuisce i “pieni poteri” a Orbàn è stata approvata dal parlamento ungherese, ciò non significa che essa rispetti lo stato di diritto, che ha alla base la divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Ciò che sta accadendo in questi paesi mette a serio rischio la tenuta dello stato di diritto in Europa. Non è una coincidenza, infatti,che per anni i sondaggi sulla democrazia a livello globale riportino un crescente dato negativo in alcuni paesi dell’Unione.
Non dobbiamo pensare che questo sia un problema solo ungherese o polacco. Le nostre democrazie sono interconnesse e, quando vengono messi a rischio i principi costituzionali, queste pian piano scivolano verso un governo illiberale proprio sotto i nostri occhi. Questi governi si nutrono della paura e delle ansie collettive che derivano dagli eventi drammatici del nostro tempo. Tuttavia, la nostra posizione rimane chiara: siamo al fianco di chi si batte per la democrazia in Ungheria e in Polonia.
Ci delude profondamente la risposta della Presidente von der Leyen, dalla quale ci aspettavamo, invece, una risposta più chiara e incisiva. Inoltre, riteniamo che il Commissario europeo per l’ungheria Varhelyi debba prendere immediatamente le distanze dalle azioni del governo del suo paese.
Il prossimo Consiglio degli Affari Generali sarà alquanto imbarazzante visto che, ormai da mesi, gli Stati Membri stanno lavorando sulla procedura dell’art.7 in maniera pressoché inconcludente. Eppure, ora che questa legge in Ungheria è stata adottata e l’opposizione polacca è messa sempre di più alle strette, gli stati membri dovranno continuare ad incontrarsi per discutere se ci siano “rischi evidenti di violazione” dello stato di diritto, quando la realtà è che ormai siamo ben oltre l’assestamento del rischio.
Ora è il momento di riformare la procedura dell’articolo 7 in uno strumento efficace e concreto. Non ha senso votare all’unanimità ed è in sostanza inutile non avere dei tempi definiti per le procedure stesse. Al fine di evitare simili situazioni, c’è bisogno che l’Unione Europea introduca il Meccanismo di Revisione della Democrazia, Stato di Diritto e Diritti Fondamentali, come proposto dal Parlamento Europeo già nel 2013.
Al momento la Commissione Europea ha altri strumenti a sua disposizione, incluse le procedure d’infrazione: sebbene queste misure abbiano piena legittimità, è necessario che la commissione metta al primo posto i cittadini polacchi e ungheresi agendo adesso e non quando sarà troppo tardi. Allo stesso modo, le negoziazioni del bilancio finanziario pluriennale dovrebbero tenere presente la lezione dell’art.7 e rivedere il prima possibile i requisiti sulla condizionalità nei casi in cui lo stato di diritto si trovi a rischio per evitare che, anche in questo caso, si crei uno stallo politico.
In tutta l’Europa si sta attivando lo stato di emergenza. Tuttavia, per proteggere i cittadini europei dai rischi della pandemia di COVID-19 e dalla strumentalizzazione delle misure di sicurezza dai governi illiberali, l’UE deve dotarsi di strumenti efficaci per tutelare la democrazia. La creazione di una federazione europea implica in primis creare una reale democrazia sovranazionale e salvaguardare i diritti dei cittadini europei. Se non agiamo adesso il nazionalismo e l’autoritarismo divenerrano sempre più forti nei momenti di emergenza.