Per reagire alla crisi siriana, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen non poteva scegliere peggior alleato del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Eppure, eccola ad Ankara, in una delle sue prime visite ufficiali da quando ha ottenuto la rielezione, a ringraziare quello che tanti suoi colleghi – a partire da Mario Draghi – definiscono un dittatore.
“Il crollo del regime di Assad offre nuove speranze al popolo siriano, ma comporta anche dei rischi” ha detto von der Leyen, e non potremmo essere più d’accordo. Sono quindi notizie da accogliere con ottimismo quella del ritorno dell’ambasciatore europeo a Damasco e della mobilitazione di squadre umanitarie europee sul territorio siriano, praticamente il massimo che questa Unione europea priva di una politica estera unica possa offrire per agevolare una transizione pacifica.
Ciò che ci lascia interdetti è la convinzione del ruolo essenziale della Turchia nella stabilizzazione della regione. Non dimentichiamo che proprio la Turchia non è stata in grado di rispondere alle forti richieste dell’Unione europea di ristabilire la propria democrazia e di garantire il rispetto dei diritti umani, principi basilari per entrare a fare parte dell’Unione europea, e che proprio per questo motivo abbia visto la propria domanda di adesione sospesa dal Parlamento europeo nel 2019.
Durante la sua visita ad Ankara, von der Leyen ha riconosciuto che “la Turchia si è costantemente assunta la responsabilità di ospitare milioni di rifugiati siriani nel corso degli anni. E noi siamo stati al vostro fianco in questo sforzo”. Per poi dichiarare che fossero in arrivo, nelle casse dello Stato turco, un miliardo di euro per garantire “l’assistenza sanitaria e l’istruzione dei rifugiati in Turchia”. Questa narrativa è vergognosa.
La Turchia non può essere considerata partner a giorni alterni, specie su un tema chiave come quello delle migrazioni, e viste le ragioni per cui è stata sospesa la sua domanda di adesione all’Unione europea, non può essere considerata un Paese terzo sicuro. Anche nell’ultimo biennio, i richiedenti asilo e le persone migranti in Turchia hanno subito numerosi maltrattamenti e respingimenti illegali verso Siria e Afghanistan, come riportato nel rapporto 2023-2024 di Amnesty International.
Come giovani federalisti europei, non solo non possiamo accettare che ancora una volta l’Unione europea promuova politiche di esternalizzazione della gestione dei rifugiati e delle persone migranti finanziando Paesi terzi che violano i diritti umani, ma riteniamo altrettanto inammissibile che la Presidente della Commissione europea plauda a questa alleanza ribadendo che “man mano che le cose si evolveranno sul campo, potremo adattare questo miliardo di euro alle nuove esigenze che potrebbero verificarsi in Siria”.
Da anni chiediamo che l’Unione europea diventi responsabile della gestione delle proprie frontiere, senza appaltare ad altri Stati la gestione delle stesse. Non vogliamo un’Europa fortezza che nega i diritti dei rifugiati e delle persone migranti, che condanna migliaia di persone alla morte nei campi libici, nelle prigioni turche, sul muro tra Ceuta e Melilla, nel Mediterraneo.
È ora che l’Unione si doti di una politica migratoria comune, di una politica estera unica, e che finalmente si assuma la responsabilità della gestione delle proprie frontiere.
Von der Leyen e Erdoğan: un’alleanza sulla pelle dei rifugiati
Le dichiarazioni della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, durante la sua visita ad Ankara al Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, incentrata sulla crisi siriana, ci lasciano interdetti.
Non possiamo accettare che, ancora una volta, l’Unione europea promuova politiche di esternalizzazione, né che la Presidente della Commissione plauda a una alleanza in questo senso con un Paese antidemocratico e che viola costantemente i diritti umani. L’Unione europea deve dotarsi di una politica migratoria comune, di una politica estera unica, e deve assumersi la responsabilità della gestione delle proprie frontiere.