Alle elezioni presidenziali del 5 novembre, i cittadini statunitensi hanno scelto di affidare nuovamente il Paese a Donald Trump. Il candidato repubblicano ha sconfitto ampiamente la rivale democratica Kamala Harris e tornerà alla Casa Bianca, dove ha già governato tra il 2017 e il 2021.
Durante quel quadriennio, i rapporti tra Stati Uniti e Unione europea si sono fortemente raffreddati. L’amministrazione Trump si curò poco delle relazioni internazionali, anzi, spesso le ha ostacolate, ritirando l’adesione americana prima dal Partenariato Trans-Pacifico e poi dagli Accordi di Parigi sul clima. Per l’Unione europea, abituata alle politiche cooperative della seconda amministrazione Obama, questo approccio rappresentò uno shock, da cui seppe riprendersi solo dopo le successive elezioni europee. Allora riuscì a rimediare prendendo da sola in mano il proprio futuro, avviando progetti come il Green Deal e agendo in modo caparbio e pragmatico nella lotta alla pandemia.
Eppure, non sono stati compiuti i passi necessari perché l’Unione europea affrontasse davvero le sfide di lungo termine. La mancanza di un’unione politica, di una politica estera unica e di una difesa comune, così come la frammentazione delle competenze in materia di ambiente e migrazione, per citarne solo alcune, è emersa in modo sempre più critico negli ultimi anni. Con l’amministrazione Biden, l’Unione europea è tornata ad adagiarsi sullo status quo ed è risultata incapace di rispondere con prontezza alle crisi recenti, come la guerra in Ucraina.
Il rischio di una rielezione di Trump era evidente già al momento delle ultime elezioni europee e della seconda nomina di Ursula von der Leyen a Presidente della Commissione europea. La nostra speranza è che il Parlamento europeo, Ursula von der Leyen e i Commissari candidati che stanno sostenendo in questi giorni le audizioni per la loro conferma siano pienamente consapevoli delle implicazioni che il voto americano potrebbe avere, a partire dal probabile ritorno a significative difficoltà nella cooperazione transatlantica.
In questo momento, sono solo due le alternative che si prospettano per l’Unione europea: svegliarsi ed emanciparsi, adottando una voce unica negli ambiti decisivi a gestire le crisi odierne e future e dando sostanza alle aspirazioni di autonomia strategia, o soccombere in campo internazionale al potere degli Stati Uniti e, al suo interno, alle politiche vuote e deboli promosse dagli Stati membri.
Come federalisti europei, siamo convinti che l’Europa debba finalmente compiere il passo verso l’unità e realizzare quelle riforme interne che la rendano forte e autorevole. Tutto questo deve avvenire ora, non tanto per la rielezione di Trump, ma perché, con il passare del tempo, la lenta agonia dell’Unione – di cui ha parlato Mario Draghi nella presentazione del suo report sulla competitività – si farà sempre più dolorosa. È in gioco la nostra identità di europei, la nostra libertà e la nostra democrazia, il nostro futuro e quello delle prossime generazioni: è tempo di camminare sulle nostre gambe.
Ai Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea, che si riuniranno a Budapest per una riunione informale del Consiglio europeo l’8 novembre, chiediamo di riflettere a fondo, insieme alla Presidente della Commissione europea, sulla necessità di un’Unione più forte e autonoma, che sappia farsi valere nel contesto globale, e sugli strumenti da adottare perché ciò avvenga nel più breve tempo possibile. Allo stesso modo chiediamo loro che l’agenda del prossimo Presidente degli Stati Uniti non li dissuada da continuare e rafforzare il lavoro portato avanti in questi anni, nel sostegno all’Ucraina e nella promozione di politiche comuni ambientali, energetiche, industriali e sociali che possano fare la differenza per le cittadine e i cittadini europei.
Non aumentare ma unire: la strategia corretta sugli armamenti per garantire sicurezza all’Europa
Di fronte al disimpegno degli Stati Uniti in Ucraina, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha proposto un piano in cinque punti per riarmare l’Europa e proseguire il sostegno a Kyiv.
Se l’obiettivo è la sicurezza dell’Europa intera e unita, è fondamentale che la risposta non sia solo quella di un rafforzamento delle singole capacità nazionali, ma l’integrazione e la creazione di una vera politica di difesa comune. Non basta coordinare le forze armate nazionali, è necessaria la creazione di un esercito europeo, pronto ad affrontare le sfide di un mondo sempre più frammentato e instabile. Non serve aumentare gli armamenti, serve unire.