Il Parlamento europeo che ci hanno consegnato le elezioni dello scorso 6-9 giugno non appare significativamente modificato rispetto alla sua composizione precedente. Il Partito Popolare Europeo mantiene e rafforza la sua posizione come primo gruppo per numero di seggi, seguito dai Socialisti e Democratici e da Renew Europe, che, sebbene ridimensionati rispetto alla precedente tornata elettorale, sembrano restare forze imprescindibili per la formazione della nuova maggioranza.
Tuttavia, non si può ignorare la crescita delle forze sovraniste ed euroscettiche, che ora occupano quasi un quarto dei seggi del Parlamento. Questo dato, unito all’exploit dei partiti estremisti in Francia e Germania, evidenzia come in un periodo di crisi profonda segnato dal ritorno della guerra in Europa e dalle minacce alla stabilità democratica molti elettori abbiano ceduto al richiamo delle forze reazionarie ostili alla prospettiva di un’Europa sempre più unita e a vocazione sovranazionale.
La campagna elettorale ha dimostrato come pressoché tutte le forze in gioco e, per conseguenza diretta, i cittadini che le hanno votate ritengano l’odierna Unione europea scarsamente efficace nel dare risposta alle grandi crisi che affliggono il nostro continente. Il quinquennio appena trascorso è stato caratterizzato da una nuova crisi economica, una pandemia globale, l’aggravarsi della crisi climatica, risposte inadeguate alla gestione del fenomeno migratorio e numerosi conflitti armati, anche alle porte dell’Europa, che ci allontanano dalla prospettiva di una pace duratura.
Non possiamo che chiederci: fino a quando i partiti faranno finta di ignorare che tali scenari siano irrisolvibili dai singoli Stati nazionali, troppo piccoli e irrilevanti? Fino a quale punto di negazione si spingeranno per affermare che l’Unione europea può avere la forza di agire anche se non si unisce politicamente, rivedendo il suo assetto istituzionale, le sue competenze e colmando le sue lacune?
Il Parlamento europeo, nella legislatura appena terminata, ha saputo guardare a queste contraddizioni con coraggio e con lungimiranza, battendosi per esprimere una voce più autorevole e per un mandato più ambizioso alla Conferenza sul Futuro dell’Europa, il cui portato più modesto sarebbe stata la revisione delle procedure di voto in Consiglio europeo, con il superamento dell’unanimità. Lo scorso novembre, l’approvazione della risoluzione per l’apertura di una Convenzione per la modifica dei Trattati ha rappresentato la seconda richiesta avanzata dal Consiglio dal Parlamento europeo, per due volte inascoltata.
Eppure quella della riforma dei Trattati rimane ancora oggi la via da percorrere. Solo abolendo il meccanismo del voto all’unanimità al Consiglio europeo l’Europa saprà rispondere in modo rapido ed efficace alla crisi climatica. Solo modificando la procedura prevista all’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea si potrà garantire una concreta tutela dei diritti umani e dello Stato di diritto. Solo attraverso l’istituzione di un esercito comune europeo sarà possibile difendere i confini dell’Unione e solo una politica estera unica darà effettiva rilevanza all’azione diplomatica europea, oggi estremamente necessaria.
Nel tempo del valzer delle nomine dei nuovi vertici dell’Unione europea, il nostro sguardo volge ai neo-eletti Eurodeputati e alle neo-elette Eurodeputate a cui – anche in virtù del mandato loro assegnato dai cittadini – chiediamo il coraggio di farsi portavoce di questa battaglia per giocare quel ruolo fondamentale di apripista nella discussione sul necessario futuro assetto europeo.
Non aumentare ma unire: la strategia corretta sugli armamenti per garantire sicurezza all’Europa
Di fronte al disimpegno degli Stati Uniti in Ucraina, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha proposto un piano in cinque punti per riarmare l’Europa e proseguire il sostegno a Kyiv.
Se l’obiettivo è la sicurezza dell’Europa intera e unita, è fondamentale che la risposta non sia solo quella di un rafforzamento delle singole capacità nazionali, ma l’integrazione e la creazione di una vera politica di difesa comune. Non basta coordinare le forze armate nazionali, è necessaria la creazione di un esercito europeo, pronto ad affrontare le sfide di un mondo sempre più frammentato e instabile. Non serve aumentare gli armamenti, serve unire.