La JEF France e la JEF Italy notano con soddisfazione la recente iniziativa congiunta di Francia e Italia con la firma, venerdì 26 novembre, del “Trattato del Quirinale” da parte dei Presidenti Emmanuel Macron e Mario Draghi. Si apre una stagione di rinnovata collaborazione tra i due Paesi che archivia quella di più recenti tensioni, alla luce di un quadro politico profondamente mutato anche in virtù della pandemia. Il covid, d’altronde, non è che l’ultima lampante dimostrazione dell’impossibilità di trovare soluzioni efficaci da parte dei singoli Stati nazionali in un mondo globalizzato. Rispetto a tale contesto, riteniamo che il Trattato del Quirinale rappresenti un atto di collaborazione fra diversi Paesi che va nella giusta direzione.
Nel Trattato del Quirinale vi sono alcuni aspetti positivi generali che in quanto federalisti vogliamo sottolineare, come l’attenzione alla difesa dei diritti umani, della democrazia, del multilateralismo, la lotta ai cambiamenti climatici e alla criminalità organizzata. Tuttavia, nell’ambito della riforma delle istituzioni europee, delude che si sia trovato un accordo solo sul favorire, “ove appropriato e nel quadro previsto dai Trattati dell’Unione Europea, un più esteso ricorso al sistema della maggioranza qualificata per l’assunzione di decisioni nel Consiglio”.
È una evidente contraddizione tra gli auspici da una parte e gli strumenti che si intende mettere in campo dall’altra. Contraddizione che si manifesta seppure si tratti di in un accordo siglato tra due governi di chiaro stampo europeista e guidati da due personalità che hanno avuto l’ambizione di incidere, in questi anni, sui processi di superamento delle crisi dell’Unione.
Chiaramente non possono bastare le relazioni bilaterali per superare le contraddizione e i limiti dell’architettura europea nei confronti delle sfide globali di oggi; occorre uscire dai limiti dell’intergovernativismo per perseguire un approccio sistemico, mettendo a frutto anche le ambizioni del nuovo governo tedesco nel riaprire il cantiere delle riforme fermo da Lisbona, con l’obiettivo di trasformare la Conferenza sul futuro dell’Europa in un reale processo costituente.
Tale processo deve avere l’obiettivo primo, ma non certamente unico, del completamento dell’unione monetaria da un punto di vista fiscale, dotando finalmente l’Unione di un bilancio federale fondato su risorse proprie, che superi chiaramente la logica temporanea dello strumento del Next Generation EU. Un punto, questo, su cui sarà necessario testare la collaborazione rafforzata tra Italia e Francia nel coinvolgere il nuovo governo tedesco, che si è chiaramente impegnato sulla richiesta che l’Unione diventi Unione Federale.
Infine, sulla politica estera e di difesa il Trattato sancisce un apprezzabile passo avanti che i due Paesi intendono compiere nel cooperare negli scenari di vicinato; ma, così come per le politiche migratorie, è imprescindibile lavorare a una risposta europea unica. Siano da monito tutti i limiti dell’attuale Unione nel rispondere allo scenario di crisi in Ucraina o in Libia, dove sono messi pericolosamente in discussione i valori su cui è stata rifondata la civiltà europea dopo la Seconda Guerra Mondiale, così come la pressione esercitata dal dittatore bielorusso Lukašenko sulla pelle delle e dei migranti lungo il confine polacco.
Rispetto a queste necessarie riforme dell’assetto istituzionale europeo, riteniamo che il Trattato del Quirinale rappresenti una significativa assunzione di consapevolezza, seppur insufficiente. Le parole tuttavia non bastano, servono i fatti per realizzare “un’Europa democratica, unita e sovrana” – cioè un’Europa federale.